Con Ant-Man si chiude la Fase 2 dell’epopea cinematrografica targata Marvel. E si chiude in bellezza visto che, dal mio punto di vista, si tratta del miglior film Marvel dopo “I Guardiani della Galassia”.
Il film è stato diretto da Peyton Reed, ma è ben visibile la mano di Edgar Wright che ha lavorato sull’opera per ben 8 anni e che ricordiamo per aver diretto “L’alba dei morti dementi”; Wright se ne intende di commedie e, anche se alla fine non ha firmato la regia, nella sceneggiatura la sua mano è più che evidente. Nel cast spiccano un convincente Paul Rudd nel ruolo di Scott Lang/Ant-Man, Evangeline Lilly nei panni di Hope Van Dyne ossia la figlia del dottor Hank Pym, interpretato a sua volta da Micheal Douglas.
TRAMA (NO SPOILER)
Questa nuova avventura targata Marvel vede l’abile ladro Scott Lang nei panni di un Ant-Man moderno. Dopo che il dottor Hank Pym gli fornisce la strabiliante capacità di diventare piccolissimo e al contempo accrescere la propria forza, Lang dovrà ricorrere alle sue doti eroiche nascoste per proteggere la formula del rimpicciolimento da Darren Cross, vecchio allievo di Pym, che vuole trasformarla in un’arma su vasta scala. Esposti a ostacoli inizialmente insormontabili, Pym e Lang, con l’aiuto di Hope, dovranno pianificare e portare a termine un colpo che salverà il mondo.
PREGI
Prospettive ribaltate ed un’ironia diffusa sono tra i pilastri su cui si basa un film che, finalmente, riporta il cinecomic alla dimensione dell’intrattenimento puro e leggero, che abbatte a colpi sarcasmo la pesante retorica supereroica degli ultimi anni. Le scene d’azione, realizzate egregiamente, giocano spesso su rapidi cambi di prospettiva, da ciò che succede nel macro a ciò che succede nel micro: in questo modo un treno in corsa perde immediatamente la propria pericolosità tornando ad essere solo un trenino giocattolo. Ant-Man non vuole prendersi troppo sul serio e lo dice esplicitamente: mentre gli Avengers salvano la Terra distruggendo intere città, qui la scala è ridotta e si ha a che fare con le formiche. Ma piccolo non vuol dire inutile, tutt’altro. Ant-Man altro non è che la storia di padri che devono riconquistare le loro figlie, tornare a essere eroi ai loro occhi, perché troppo spesso ci si dimentica, anche nella realtà, che per salvare la situazione macro è necessario mettere in sicurezza prima quella micro.
Gli effetti speciali, usati nella giusta quantità, risultano essere ottimi ed in particolare le scene ambientate nella “dimensione quantica” sono grandiose a livello visivo. La colonna sonora, composta da Cristophe Beck (inizialmente avrebbe dovuta comporla Steven Price che però ha abbandonato il progetto assieme a Wright), risulta essere gradevole e appropriata per le varie sequenze del film, ma, in ogni caso, non indimenticabile.
DIFETTI
Uno dei pochi difetti di Ant-Man, presente in quasi tutti i film Marvel, è la banalità dei rapporti tra i personaggi: il classico conflitto tra mentore e allievo, l’incomprensione tra figlia e genitore e la piccola sottotrama amorosa sono trattati in maniera superficiale e piuttosto scontato. Inoltre il villain del film, ossia Darren Cross (interpretato da Corey Stoll), noto anche come il Calabrone, risulta essere un pò scialbo, poco carismatico e, quindi, facilmente dimenticabile.
CONCLUSIONE
Tirando le somme, Ant-Man è un film che funziona, ha cuore, intrattiene e introduce un personaggio che potrebbe portare una ventata d’aria fresca dentro una “certa squadra di supereroi”. Scanzonato e divertente al punto giusto, con un buon ritmo e con un paio di momenti epici in perfetto stile Marvel, Ant-Man non è un capolavoro del cinema moderno, ma è un film che, una volta terminato, vi lascerà sorridenti e soddisfatti.
E questo, nel suo piccolo, è già tanto.
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